Due ritratti di un uomo ormai anziano, un terzo a mezzo busto: questo è quanto gli archivi fotografici restituiscono del medico condotto Francesco Minà-Palumbo; un uomo tanto appassionato di storia naturale, da diventare una pietra miliare della disciplina nell’arco di un cinquantennio a Castelbuono e nelle Madonie e un sicuro punto di riferimento per i naturalisti di tutta Italia e non solo.
A fronte di una quantità enorme di scritti, di testimonianze e di un non meno straordinario materiale iconografico, sono disponibili, invece, della persona Minà-Palumbo solo tre pose, e poi null’altro, a nostra conoscenza, che documenti per immagini d’epoca la sua attività, le sue ricerche, il suo mondo.
Siamo pertanto quasi obbligati a guardare dentro le fotografie, per provare ad interrogare l’uomo Minà-Palumbo, per cercare di carpire, almeno un po’, il segreto delle sue passioni sviluppatesi lungo il corso del XIX secolo a Palermo, a Napoli negli anni giovanili, e a Castelbuono per il resto della sua lunga vita.
Lo facciamo ricorrendo ad uno dei testi più significativi scritti nel secolo scorso, precisamente nel 1979, La camera chiara. Nota sulla fotografia, di Roland Barthes.
Barthes, noto per i suoi fondamentali studi di semiologia, propone in maniera molto originale un approccio alla fotografia, che distingue con i termini latini studium e punctum due elementi, due possibili effetti prodotti dall’immagine.
Grazie allo studium possiamo razionalmente condividere con l’autore della fotografia i diversi piani di lettura di un’immagine, le sue funzioni, che raccontano, informano, in altre parole si relazionano con la storia del soggetto rappresentato.
Il punctum recupera, invece, il suo etimo, quindi punge, “mi ferisce, mi ghermisce”, scrive Roland Barthes, “è una specie di sottile fuori-campo, come se l’immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere. [...] Molto spesso è un particolare, vale a dire un oggetto parziale [...] è un supplemento: è quello che io aggiungo alla foto e che tuttavia è già nella foto”.
Ecco, guardando e riguardando le tre immagini di Minà-Palumbo, proviamo, quasi per gioco, ad individuare un punctum, o il nostro punctum.
Il ritratto formato-visita del 1864 rivela uno sguardo fisso verso l’obiettivo, non esitante, la volontà chiara di nascondere l’avanzata calvizie con un riporto imperioso, ma ciò che interrompe, fa deviare da questa manifestazione di forza ancora giovanile, è il nodo della cravatta, vistosamente asimmetrico, senza una direzione precisa del tessuto che ripiega su se stesso, ad indicare un disordine non preventivato, a cui ci si vuole ancora opporre, ma qualcosa è sfuggito, non si è riusciti a controllare per intero la restituzione della propria immagine.
Nei ritratti da anziano lo sguardo è ancora fiero, non sfida tuttavia l’obiettivo, si rivolge verso l’orizzonte, appare chiuso nei propri pensieri, forse già pieni della consapevolezza dell’importanza del lavoro ormai alle spalle e per questo non bisognoso più di manifestazioni di forza. La cravatta è di un altro tipo, si distende sotto il panciotto, il tessuto non si ribella.
E’ la fotografia a figura quasi intera, di profilo, che aggiunge un ulteriore elemento di conoscenza; mostra la mano sinistra di Minà-Palumbo, aggiungendo al volto ed al busto delle due precedenti immagini un’altra parte del corpo, quella mano che chissà quante volte si sarà chinata a raccogliere un fiore, una pianta, toccandole con l’attenzione e l’interesse propri dello scienziato; una mano, in quella fase della vita, non distesa, rilasciata, destinata a lenti movimenti progressivi.
Per chiudere con il gioco dei rimandi e delle sollecitazioni fornite dalle immagini e per provare a cogliere lo spirito di un tempo definitivamente tramontato, ma anche per togliere alla fotografia, nell’epoca della sua ‘riproducibilità’, quell’aura che era propria dei ritratti pittorici, risultano significativi, ricchi di sapore, gli appunti di Leopoldo Franchetti, inviato con Sidney Sonnino dal governo dell’epoca in Sicilia, per relazionare sulle Condizioni politiche e amministrative.
A Castelbuono Franchetti incontra il dottor Minà-Palumbo, che gli fornisce dati di carattere economico-sociale.
Minà-Palumbo parla con l’ospite di tasse, brigantaggio, delle colture principali. Un appunto, tra i tanti dedicati a quell’incontro, strappa il sorriso, perché, a distanza di tanto tempo, restituisce un momento di sano realismo politico di Minà.
Scrive Franchetti: Soprastante […] ci raccontò ingenuamente come avesse aiutato ad evadere un suo collega campiere arrestato dai militi, ciò dopo il ’60, come diceva, mentre Dott. Palumbo cercava fargli dire che era prima del‘60.
Un eccesso di prudenza prontamente colto dall’ attentissimo osservatore politico e al contempo il tentativo, ingenuo, di Minà-Palumbo di offrire una rappresentazione del presente migliore di quanto la realtà non potesse mostrare.
In fondo, un compassionevole sguardo protettivo sulla propria gente e la propria terra, da parte di uno dei suoi figli migliori, che con il passare del tempo sposta lo sguardo verso orizzonti più ampi, allenta la tensione muscolare del corpo, non sfida più l’obiettivo della macchina fotografica e lascia alla mediazione del fotografo il compito della rappresentazione di una personalità, che al piacere del potere ha preferito quello della conoscenza.
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Riferimenti bibliografici
- R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Gallimard, Seuil, 1980, trad. italiana R. Guidieri, ed. Einaudi – Torino, 1980
- W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Parigi 1936, trad. it. E. Filippini, ed. Einaudi – Torino, 1966
- L. Franchetti, Politica e mafia in Sicilia.Gli inediti del 1876, ed. Bibliopolis – Roma, 1995