La Cassidaria minae (dal lat. cassĭda, “elmo”) è un gasteropode tuttora vivente, rinvenuto fossile fra le argille scagliose della fomazione Isnello-Castelbuono. Fu istituita come specie nuova nel 1881 dal Marchese Antonio De Gregorio che la trovò nella collezione di fossili delle Madonie di Francesco Minà Palumbo e la dedicò, per questo motivo, al naturalista di Castelbuono.
Pur avendo pubblicato pochissimi lavori di carattere paleontologico, l’interesse di Minà Palumbo per i fossili e per la geologia in generale rimase costantemente vivo. Ne sono testimonianza le otto tavole geologiche prodotte nel 1867 e offerte come contributo per la costruenda Carta geologica del Regno d’Italia oltre che la straordinaria mole di reperti paleontologici delle Madonie, raccolti nel corso di sessant’anni di ricerche e grazie ai quali riuscì a mettere su delle collezioni di tutto riguardo, come riferito ripetutamente da illustri studiosi quali Calcara, Vilanova y Piera, Seguenza, De Gregorio i quali ebbero modo di visionarle, studiarle e ammirarle.
Come è ben noto, ormai, l’inizio degli studi sui fossili delle Madonie, risalente agli anni sessanta dell’Ottocento, si deve all’opera del paleontologo messinese Giuseppe Seguenza che poté basare le proprie osservazioni e analisi innanzitutto sulle collezioni custodite nel gabinetto geologico dell’Università di Palermo ma soprattutto, come riporta Carolina Di Patti[1], sui numerosi reperti inviatigli dagli studiosi madoniti Carmelo Virga e Francesco Minà Palumbo.
I rapporti fra Minà Palumbo e Seguenza sono peraltro noti: fra i due è intercorsa una corrispondenza epistolare, una fotografia autografa montata su cartoncino formato visita si trova inserita in un album di Seguenza che raccoglie numerosi ritratti di uomini di scienza dell’epoca, Seguenza recensì sul periodico di Messina “Politica e Commercio” la Biblioteca del Naturalista Siciliano, la collana che accolse una serie di lavori di Minà che dovevano servire per la storia naturale della Sicilia.
Lo studio di Seguenza sulle Madonie, pubblicato più tardi col titolo “Sull’Oligocene in Sicilia”[2], permise di concludere che «l’età di quelle rocce si deve far risalire a quaranta milioni di anni fa (Eocene superiore-Oligocene)» ma costituì senza dubbio fecondo seme per ulteriori studi e ricerche sulla paleontologia delle Madonie, a partire da quelli intrapresi nel 1880 dal Marchese Antonio De Gregorio confluiti poi nella sua “Fauna delle argille scagliose della Sicilia”[3].
Le argille scagliose di Isnello, segnatamente quelle delle località Vallone Cubo, Valle Nasca, Monte Galefina, e di Castelbuono, nelle contrade Valle Lànnira, San Paolo, Conigliera, Venzerìa, Pedagni e Paratori, sono intimamente legate alla formazione del flysch. Anche se la relazione fra flysch e argille scagliose è stata verificata in diversi siti europei da svariati geologi, De Gregorio ritiene che questo rapporto non «si possa studiare altrove meglio che in Sicilia: nei dintorni d’Isnello, per esempio, in contrada Guardiola, Oliva Maria, fin sotto a Serra Tribona; nei dintorni di Castelbuono, al Piano dei Monaci, ove le argille passano a scisti a nemertiliti simili a quelli descritti dall’insigne prof. Meneghini»[4].
Proprio per questo il naturalista palermitano, che visitò le Madonie due volte, nel luglio 1880 e nel settembre 1881, perlustrò i dintorni di Piano Battaglia, di Isnello e di Castelbuono, come si può leggere nel suo delizioso opuscolo “Una gita sulle Madonie e sull’Etna”[5], un dettagliato e ricco resoconto di escursioni, osservazioni naturalistiche e di appunti geologici relativi alle osservazioni ivi effettuate.
Tuttavia, secondo quanto riferisce egli stesso, di fondamentale importanza per il suo lavoro furono quei fossili delle Madonie che lui non riuscì a trovare in situ e che gli vennero donati da Seguenza in quanto non utilizzati nel suo precedente studio. Scrive a tal proposito De Gregorio nella introduzione alla “Fauna delle argille scagliose della Sicilia”:
«[Ringrazio] il prof. Seguenza che saputo ch’io stavo per pubblicare un lavoro sui fossili d’Isnello-Castelbuono m’inviava taluni gasteropodi ricevuti dai signori Minà e Virga per studiarli»[6].
In effetti, i meriti di Francesco Minà Palumbo e di Carmelo Virga sull’avanzamento degli studi paleontologici delle Madonie furono tutt’altro che marginali, come osserva De Gregorio con rara onestà intellettuale:
«Spesso nelle Riviste paleontologiche si tacciono i nomi di quelle persone alle quali si debbono, forse più che a colui che le illustra. è una trascuranza che torna infine a discapito della scienza stessa; trascuranza che sarebbe poi stata più grave nel nostro caso, mentre fra tante difficoltà di far collezioni (stante la difficile viabilità, l’alterazione e scarsezza di fossili) colla pertinacia e il buon volere si è venuto infine a esito insperato. [...] Ma non posso qui fare a meno di ricordare i nomi di due persone altamente benemerite, cui quasi esclusivamente si debbe la conoscenza di una fauna tanto importante: il Dr. Minà Palumbo di Castelbuono e il Dr. Carmelo Virga d’Isnello. Entrambi noti per esimii lavori scientifici hanno fatto il possibile per raccogliere tutto ciò che vi era d’interessante pel naturalista nei dintorni dei loro paesi, e sono riusciti a formare delle pregevoli collezioni che di buon animo mi hanno mandato per studiare»[7].
Ciò viene ribadito da De Gregorio in un passo dell’introduzione: «per qualunque lavoro occorre del buon materiale da disporre» e avere avuto ricche collezioni a portata di mano gli giovò almeno quanto le ricerche sul campo appositamente predisposte per la semplice ragione che molto spesso queste risultano infruttuose, trovandosi i fossili dispersi qua e là fra le zolle formate dallo sfacelo e dalla disgregazione delle argille. Tanto è vero che buona parte della fauna delle argille scagliose fu ritrovata da De Gregorio, più che in situ, nelle collezioni dei naturalisti madoniti.
Ecco come il marchese De Gregorio, di ritorno da Piano Battaglia, descrive l’incontro a Castelbuono con Francesco Minà Palumbo:
«Corsi difilato in casa del dott. Minà, il cui nome mi era già noto come quello di un insigne naturalista, e possessore d’interessanti collezioni paleontologiche. – L’impressione che provai nell’avvicinare quest’uomo, così umile e così grande, e che in tanta bontà nasconde un tesoro di scienza, non è a descriversi. è uno di quei tipi all’antica, che adesso pur troppo vanno sparendo; uno di quelli in cui non si sa se è da ammirar maggiormente l’acume o la limpidezza della mente, l’elevatezza o la severità dello spirito. Appena ne lo pregai mi mostrò i fossili che ei possiede del terziario dei dintorni di Castelbuono. Ed io, avendovi subito riconosciuto una bellissima cassidaria nuova, credetti fargli omaggio dedicandogliela»[8].
La fauna delle argille scagliose dei dintorni di Isnello e Castelbuono, la cui formazione può essere ritenuta la stessa, ha un aspetto generale caratteristico che negli strati superiori e medi assume un aspetto oligocenico, come la gran parte delle argille di Castelbuono, e negli inferiori eocenico. Fra le specie di aspetto vario e curiosissimo che caratterizzano la formazione delle argille scagliose di Isnello-Castelbuono (oggi formazione Gratteri) “sono primarie per eccellenza” la Cassidaria minae, dedicata da De Gregorio a Francesco Minà Palumbo, e la Cassidaria virgae, affine alla prima e dedicata dallo stesso allo studioso di Isnello Carmelo Virga.
Secondo quanto riferito da De Gregorio, sulla base dei numerosi esemplari esaminati, la Cassidaria minae predomina nelle argille scagliose di Castelbuono, specialmente in quelle dei Paratori e di Vinzerìa, dove si trova “piuttosto in abbondanza”. è singolare il fatto che da più parti si ritenga che Francesco Minà Palumbo l’abbia rinvenuta negli strati di flysch del Vallone Cubo, in territorio di Isnello, dove non è attestata, a differenza della Cassidaria virgae che è, invece, assai comune.
Il gasteropode fossile trovato da Minà Palumbo nei dintorni di Castelbuono, viene riportata da De Gregorio come nuova specie nel suo lavoro sulla Fauna delle argille scagliose della Sicilia[9] e così descritto:
CASSIDARIA (SCONSIA) MINAE, DE GREG.
Testa eburnaeformis, ovata, turbinata, elegans, spira regulari, apice obtuso; anfractibus 6, convexo-rotundatis potius lente crescentibus; primis tribus laevigatis submantillatis, caeteris spiraliter regulariter sulcatis, axilariterque filis numerosis ornatis; sulcis circiter 11 in penultimo anfractu, circiter vero 30 in ultimo; porcis planorotundatis, quam interstitiis subduplis; interstitiis posticis majoribus quam anticis, interdum rarius in medio bisulcatis filis axilaribus confertis super funiculos decurrentibus eosque clathrantibus; ultimo anfractu rotundato quam spira fere duplo, antico non tam protracto vix emarginato; varice ultima notata intus circumvallata; maxime rare accretione relicta persistente; labro interno conspicuo basi adhaerenti, margine rotundato.
L. 30mm. Ang. sp. 70°.
Sch.: La persistenza dei caratteri specifici culminanti e il facies generale la fa riconoscere addirittura come specie distinta malgrado le intime analogie e il parallelismo dei caratteri con la precedente [Cassidaria virgae]. Tali differenze stanno appunto nella forma generale costantemente diversa, la regolarità dei solchi, l’uguale e regolare sviluppo della spira, non che l’assenza della carena.
La forma dell’apertura non sembra neppure molto differente da quella della succennata, nè tampoco la varice del labbro esterno. Però questa della Minae sembra alquanto più spessa, e si danno casi in cui non è totalmente riassorbita fenomeno che non ho potuto mai osservare nella Virgae.
Anal.: Ha lontana somiglianza con la Cassis beyrichi Michtti. di Dego, la Sublaevigata guppy di Giammaica, e per l’ornamentazione col Buccinum turanense Abich. della Russia Asiatica; ma ne è così distinta che non occorre notarne le differenze.
Questa interessantissima specie è ben degna di portare il nome dell’insigne naturalista di Castelbuono cui l’ho dedicata. è assai comune nelle argille scagliose di Castelbuono. Ne posseggo 35 esemplari di Valle Lànira, Conigliera, S. Paolo, Pedagni, Venseria… Molti ne possiede anche il Dr. Minà fra cui taluni assai interessanti delle argille scagliose bluastre di contrada Paratori (Madonie).
Nel settembre 1881, poco prima della pubblicazione del suo lavoro sulla fauna delle argille scagliose, De Gregorio ritorna in territorio di Castelbuono e Isnello per un supplemento di indagine[10] e avendo ricevuto e trovato altri esemplari delle specie descritte nel corso del primo viaggio, si trova nelle condizioni di potere aggiungere nuovi particolari intorno alle stesse ma anche di individuare forme speciali delle medesime. Una di queste è la Cassidaria minae f.a transmida trovata fra le argille scagliose in territorio di Castelbuono. Si tratta, scrive De Gregorio, di «un altro interessantissimo esemplare in cui ho ravvisato una forma speciale della Minae a facies della Virgae f.a supervenusta. E’ maggiore che la Minae tipo, ed è munito di un cingolo di tuberculetti presso la sutura posteriore»[11].
Riferimenti Bibliografici
AA.VV., Guida Geologica del Parco delle Madonie, Palermo 2004.
A. De Gregorio, Fauna delle argille scagliose della Sicilia, Tipografia del Tempo Palermo, 1881.
A. De Gregorio, Una gita sulle Madonie e sull’Etna, Ed. Club Alpino Italiano, Torino 1882.
G. Seguenza, Sull’Oligocene in Sicilia, Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche, a. XIII, Napoli,1874.
[1] I fossili delle Madonie in Guida Geologica del Parco delle Madonie, Palermo 2004.
[2] Più precisamente, nel 1874 sul Rendiconto dell’Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli.
[3] Pubblicato a Palermo nel 1881.
[4] A. De Gregorio, Fauna delle argille scagliose della Sicilia, p. 4.
[5] Il resoconto, relativo all’escursione del luglio 1880, fu pubblicato dal Club Alpino Italiano a Torino nel 1882.
[6] A. De Gregorio, cit., p. 10.
[7] A. De Gregorio, cit., p. 10.
[8] A. De Gregorio, Una gita sulle Madonie e sull’Etna, p. 16.
[9] A. De Gregorio, Fauna delle argille scagliose della Sicilia, pp. 23-24.
[10] A. De Gregorio, cit., pp. 48-54.
[11] A. De Gregorio, cit., p. 50.