La Medicina popolare siciliana, uno dei lavori più significativi di Giuseppe Pitrè, pubblicato nel 1896 come XIX volume della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, è – fra tutti i lavori del demopsicologo palermitano – quello che contiene i più consistenti contributi relativi a tradizioni di Castelbuono. Ciò non è casuale, soprattutto se si tiene conto del fatto – come Pitré stesso osserva – che «se vi è un genere di tradizioni popolari che esige un raccoglitore tecnico, questo è certamente quello della medicina». E fra tutti «gli amici intelligenti» lontano da Palermo a cui si rivolse per ottenere notizie sulle ubbie e sulle pratiche che da sé non riuscì a trovare, Pitré ricorda con estrema gratitudine innanzitutto «il venerando dott. Francesco Minà Palumbo, naturalista insigne quanto modesto e tipo di medico filantropo e sapiente nella sua Castelbuono».
Fra le numerose ed esaustive comunicazioni di Minà, trasversali a tutti gli ambiti della medicina indagati da Pitré, ve ne è una che, alla luce delle notizie delle ultime settimane, è quanto mai curiosa e, nel contempo assume un significo decisamente particolare.
Il Premio Nobel per la Medicina e la fisiologia per l’anno 2015 è stato assegnato a tre studiosi che hanno avuto il merito di trovare nuove e più efficaci lotte contro alcune malattie cosiddette “della povertà”. Si tratta della scoperta di una terapia contro le infezioni causate da parassiti nematodi e di una terapia contro la malaria. Per quest’ultima, il prestigioso riconoscimento è andato alla scienziata cinese You-you Tu per la scoperta dell’artemisinina, un principio attivo contenuto nell’Artemisia annua, che ha drasticamente ridotto il tasso di mortalità dei pazienti colpiti da malaria. Le proprietà officinali dell’artemisia, non si scoprono certo oggi, visto che, per esempio, in Cina sono di uso comune almeno dal III secolo, come attestato da diverse fonti scritte, secondo le quali nella cura delle febbri malariche veniva utilizzato, già allora, l’infuso o il succo delle parti verdi di tale pianta.
Per quello che si legge nella Medicina popolare di Pitré, nei diversi centri siciliani censiti, le pratiche ritenute curative della febbre da malaria, specialmente per quanto concerne i farmaci di uso interno, segnatamente, gli infusi, spaziano fra le essenze vegetali più disparate: dalla corteccia di rovere, al cardo santo, all’alloro, alle foglie di salice. A Castelbuono, secondo Minà Palumbo, le febbri malariche, nel primo invadere, si curavano assumendo un infuso di Artemisia absynthum, in altre parole l’assenzio maggiore, localmente noto col nome di rrianìeddru di Madunìa, mentre le recidive si pensava guarissero masticando erva bbianca, vale a dire Artemisia arborescens. Il ricorso all’artemisia per curare le febbri malariche, a parte Castelbuono e Nicosia (dove, con lo stesso scopo, fu attestato soltanto l’uso dell’infuso dell’artemisia nel vino), per quanto riportato da Pitré, era una pratica per niente diffusa in Sicilia.
Ma fermiamoci pure qui senza farci assalire da facili manie di primato, tipiche di certe forme sconsiderate di castelbuonesità. Cominciamo a tenere ben presente, in primis, che la pianta dalla quale la dottoressa You-you Tu ha ricavato l’artemisinina ha un areale che non comprende la Sicilia. L’Artemisia absynthum (o, come correttamente dovrebbe essere, absinthium) di cui riferisce Minà è assai improbabile che possa avere come sinonimo locale rrianìeddru di Madunìa il quale dà l’idea – invece – di una pianta fortemente endemica mentre l’areale di Artemisia absynthum, almeno oggi, esclude la Sicilia. Detto questo, però, sicuramente a Castelbuono, fino alla fine del XIX secolo, un’altra pianta del genere Artemisia veniva usata per la cura delle febbri malariche.
E sapere che terapie di sì antica pratica, in uso presso popoli così distanti nello spazio e così diversi per culture, sia pure perfezionate e fortemente attualizzate, siano state elevate ai più alti livelli della scienza ufficiale non può che riempirci di orgoglio. E lo stesso venerando dott. Francesco Minà Palumbo, se solo potesse commentare ciò, non senza schermirsi, certamente direbbe: “Noi, sia pure empiricamente, lo sapevamo da tempo”.
Non è casuale, infatti, che da più parti sia stato chiesto all’Accademia reale svedese se il riconoscimento non fosse, piuttosto, da dividere fra la dottoressa You-you Tu e la medicina tradizionale.