Dopo essere stato itinerante per più di mezzo secolo, il museo naturalistico Francesco Minà Palumbo, che raccoglie le ricche collezioni afferenti ai rami più diversi della storia naturale dello scienziato di Castelbuono, ha finalmente raggiunto la sua sede definitiva.

Domenica 28 maggio 2017, infatti, alla presenza di un pubblico mai così numeroso, si è svolta la cerimonia di inaugurazione della nuova sede del Museo sita nei locali dell’ex convento di San Francesco, di recente restaurato. Alla presenza degli eredi di Francesco Minà Palumbo, cioè i nipoti di Michele Morici Minà, al quale tutti i castelbuonesi dovrebbero essere profondamente grati per avere resistito alle continue e numerose lusinghe che gli furono rivolte da più parti e avere fatto sì che i frutti del lavoro di tutta la vita dello zio rimanessero nello stesso posto in cui furono prodotti, il sindaco di Castelbuono dott. Antonio Tumminello ha dichiarato la propria soddisfazione per il raggiungimento di un traguardo così lungamente atteso, il direttore del Museo prof. Rosario Schicchi, e il presidente dott. Francesco Toscano, ringraziando tutti coloro che in questi anni si sono spesi per il buon funzionamento del Museo di Minà hanno ripercorso le tappe del lungo e tortuoso cammino che hanno portato l’insieme di tutti i materiali e delle collezioni di Minà dapprima al Castello, poi all’ex carcere, quindi alla Badia e ora all’ex convento di san Francesco.

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Ai saluti istituzionali sono seguite le relazioni tematiche. Dopo la relazione del prof. Attilio Carapezza, che ha evidenziato il ruolo di assoluta preminenza svolto da Minà all’interno della comunità naturalistica del suo tempo, il prof. Massimo Genchi ha fatto il punto sullo stato di avanzamento delle ricerche delle pubblicazioni di Minà. Come è noto, il loro numero – a seguito della ricerca bibliografica pubblicata nel 2012 – è stato innalzato da 402 a 1098. Oggi, la consistenza dei lavori scientifici di Minà Palumbo si attesta a 1160 titoli, tutti documentati. Gli ultimi articoli trovati, apparsi su giornali enologici e agricoli, sono stati rintracciati nei giorni precedenti l’inaugurazione allorché si andavano inventariando e collocando i volumi nella nuova sede della biblioteca.

E’ bene precisare che i volumi della biblioteca di Minà non erano mai stati censiti. Nessuno ha mai saputo quanti libri vi si trovassero e quali. Per questa ragione quando la biblioteca fu trasferita da casa Morici al Castello, nel 1985, e fino al 2005, nessuno si accorse che il corpus era manchevole di libri notevoli che non potevano non essere contemplati. Durante il trasloco del 1985 tre scatoloni contenenti almeno 200 volumi, tutti finemente rilegati, oltre un gran numero di estratti, vennero inopinatamente abbandonati nei polverosi scantinati del municipio e casualmente ritrovati dallo stesso prof. Genchi nel 2004 (leggi l’intervento).

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A seguire, la dottoressa Vincenza Forgia ha illustrato le collezioni archeologiche di Minà, frutto di indagini sul campo (Barraca, Piano san Paolo, San Focà, Piano Ferro, Nepitalva, Recattivo ecc.) come si può leggere nei lavori L’età della pietra nelle Madonie, Le armi di pietra in Sicilia, Le armi e gli utensili di ossidiana o pervenuti al Nostro sotto forma di doni come nel caso dei reperti trovati a Caltanissetta, dei raschiatoi rivenuti a Termini dall’amico prof. Saverio Ciofalo o dei crani trovati a Isnello dal sac. Carmelo Virga. A partire dal 1867, Minà raccolse sulle Madonie (che per le loro peculiarità geologiche e naturalistiche influenzarono già in antico le condizioni poste alla base dell’insediamento umano) numerose testimonianze di cultura materiale, essenzialmente manufatti litici: raschiatoi, coltelli, frecce, accette. Il sistematico ricorso ad annotare, per ogni manufatto, i riferimenti relativi, secondo la relatrice, evidenzia già allora metodologie di catalogazione riscontrabili oggi nei moderni criteri archivistici. La dott. Forgia si è poi soffermata sulla parte delle collezioni comprendente manufatti ceramici e metallici, alcuni dei quali provenienti da Caltanissetta e da Recattivo, e sui significativi reperti che testimoniano l’attività di industrie della carta, del ferro e del vetro fiorite a Castelbuono che, come si sa, brillarono, a causa di congiunture assai sfavorevoli, per un intervallo temporale davvero breve.

Analogamente a quanto accaduto ai volumi della biblioteca, gran parte dei reperti delle collezioni di Minà non erano mai stati censiti. Questa grave lacuna è stata colmata dal dott. Salvino Leone il quale, a partire dal 2014, con certosino e non breve lavoro, ha setacciato le collezioni e nella sua relazione ha restituito i risultati di quanto svolto e delle problematiche legate a ciò che ancora rimane da fare.

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Al momento, comprese anche le numerose donazioni (Liberto, Bellavista, Torre, Venchierutti), gli esemplari inventariati sfiorano le ventunomila unità di cui più del 50% appartengono alla collezione entomologica che, come si sa, fra tutte fu forse quella alla quale Minà si dedicò con particolare dedizione e continuità. Il 16% circa degli esemplari censiti appartiene alla collezione malacologica, il 15% all’insieme delle collezioni paleontologiche e paletnologiche, il 5% alle collezioni mineralogiche. Di quella che dovette essere la mirabile collezione di uccelli delle Madonie rimangono solo pochi esemplari di uova di ventiquattro uccelli passeracei e silvani e di qualche uccello razzolatore. Si tenga presente che l’erbario di Minà non è stato interessato da questo lavoro di inventariazione in quanto, fra le collezioni, è forse l’unica (assieme a quella entomologica) ad essere stata censita, riordinata e curata.

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Se il lavoro svolto non è di poco conto, non meno impegnativo appare ciò che ancora deve essere fatto, come ha chiaramente illustrato il dott. Leone. A partire dalla classificazione dei reperti fino ad ora giacenti in magazzino e che oggi, grazie ai più ampi spazi, hanno trovato degna sistemazione in vetrina. Non meno complicato appare il problema di apportare le dovute correzioni agli errori di classificazione o di adeguamento al binomio scientifico attuale. Infine, un discorso a parte meritano le collezioni malacologiche e paleontologiche che, fra tutte, sono quelle che necessitano di un immediato intervento, quanto meno di sistemazione e di classificazione, come ha espressamente evidenziato il dott. Leone, auspicando che questa lacuna possa essere colmata dal prossimo consiglio di amministrazione del Museo Minà Palumbo.

Al termine, per il numeroso pubblico intervenuto, si è svolta la visita guidata curata dal presidente dott. Francesco Toscano e dal naturalista dott. Antoine Giardina. Il percorso espositivo si snoda partendo dal corridoio che costeggia il lato nord dell’edificio, percorrendo il quale si possono visitare dapprima la biblioteca di testi moderni quindi, la biblioteca storica dove sono custoditi i libri di studio di Minà, le sue pubblicazioni, il carteggio intavolato con 328 corrispondenti fra enti e persone fisiche e più di 350 volumi antichi stampati fra la fine del ‘500 e quella del ‘700.

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Alla fine di questo corridoio, ci si trova negli ambienti che prospettano su piazza san Francesco. Qui è il mezzobusto bronzeo del dottore ad introdurci agli spazi espositivi preceduti dalle bacheche con i suoi attrezzi di medico chirurgo e quelle con le terre e le lacche e tutto quanto necessitava alla sua attività di fine e ricercato disegnatore, quindi le medaglie e i diplomi. Nell’ambiente attiguo si trovano le vetrine dedicate ai fossili, segnatamente ai vertebrati fossili, ai coralli, agli echinoidi, ai gasteropodi fossili del circondario, fra cui diversi esemplari di Cassidaria minae, agli ittiolitici e ai molluschi terrestri e di acqua dolce delle Madonie; poi ancora i diversi esemplari di flora fossile, le collezioni di brachiopodi, le meravigliose ammoniti e i dendriti rinvenuti nell’ex feudo Gonato, generalmente ossido di manganese cristallizzato in formazioni “ad albero” lungo le fratture della roccia.

Nella sezione rocce e minerali dove spicca una ricca collezione di rocce metamorfiche, vulcaniche e diversi minerali di ferro, una vetrina è dedicata ai bellissimi gessi e zolfi provenienti dalla serie gessoso solfifera della Sicilia. Attiguo a questo ambiente è un corridoio che ospita la donazione Venchierutti, una notevole collezione di uccelli e mammiferi imbalsamati che sopperisce, in parte, a quella omologa di Minà andata quasi del tutto perduta, della quale rimangono soltanto pochissimi esemplari e poche unità della collezione oologica. Completano questa sezione alcuni reperti di provenienza madonita, un frammento di corna di daino rinvenuto nel giardino del convento di san Francesco e un altro esemplare trovato appeso come amuleto alla finestra di una casa nei pressi di san Francesco, secondo l’usanza di allora, come annota Minà. Da qui il percorso devia verso gli ambienti dedicati all’entomologia dove, con la donazione Bellavista, è possibile visitare le collezioni alle quali Minà dedicò maggiore interesse e attenzione e grazie alle quali transitarono da casa sua i maggiori studiosi di insetti d’Europa.

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Curata dalla dott. Forgia e dagli archeologi castelbuonesi Giovanni Spallino e Vincenzo Ippolito, la parte dedicata all’archeologia e all’archeologia industriale con i reperti provenienti dalla cartiera di Gonato, i manufatti in vetro della vetreria e quelli in ferro provenienti dall’antica fonderia del Martinetto, attiva fino al XVII sec., e da quella successiva impiantata dal barone Antonio Collotti a Tornesia, negli anni venti dell’Ottocento. Poi i numerosi reperti litici di epoca preistorica (unguentari, boccali, balsamari, fuseruole) provenienti da Petralia, da Gangi, da Caltanissetta e soprattutto i manufatti in quarzite, in selce e in ossidiana ritrovati nelle nostre contrade, Margiazzo, Zurrica, Vinzeria, Mandrazza, Sant’Ippolito, Piano san Paolo. Ma anche la sezione dedicata alle materie prime e alle tecniche preistoriche di scheggiatura della pietra per la produzione di utensili. Nello stesso ambiente, finalmente, trovano degna sistemazione i reperti preistorici rinvenuti dal nostro appassionato e sfortunato Giuseppe Bonomo nel corso di tante campagne di scavi. Si tratta di brocche, lucerne, bracciali in bronzo, frammenti di coppi di epoca bizantina rivenuti nelle necropoli dei Bergi e dell’Aquileia, a Lanzeria, a Guglielmotta e poi asce litiche, frammenti di ceramiche preistoriche, vaghi di collana in osso e in calcite, frammenti di punteruoli, conchiglie, denti di cinghiale e di felini rinvenuti durante gli scavi effettuati nella grotta del Balzo del gatto.

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L’itinerario si chiude nel corridoio adiacente alla chiesa, che ospita una sezione dedicata alla coltura della manna.

Sicuramente il nuovo allestimento è di gran lunga più efficace e godibile rispetto a quello fruibile nella vecchia sede, ma a questo punto bisognerebbe sforzarsi di pensare un allestimento al passo con la nuova musealità scientifica, staccando per sempre questo enorme patrimonio culturale dall’ormai sterile allestimento di tipo ottocentesco che l’ha sempre caratterizzato, limitatone le potenzialità.