La biblioteca di Minà non era mai stata censita prima della definitiva sistemazione nei locali dell’ex Convento di san Francesco. Nessuno ha mai saputo quanti libri vi si trovassero e quali. Per questa ragione quando la biblioteca fu trasferita da casa Morici al Castello, nel 1985, e fino al 2005, nessuno si accorse che il corpus era manchevole di libri notevoli che non potevano non esserci (fra gli altri alcune opere di Strobl, Parlatore, Savi, Calcara e altri).
Nella sede della Badia, la biblioteca di Minà fu ordinata ma in maniera non del tutto organica. Nella sistemazione odierna si è voluto separare il fondo antico da quello ottocentesco e dai libri di studio di Michele Morici. Il fondo antico conta 364 volumi, quasi tutti con la copertina in carta pecora. Fra questi è possibile rintracciare delle cinquecentine come l’interessante trattato di agricoltura del 1591 di Agostino Gallo e altri esemplari più antichi.
Interessante è la presenza del De arte bene moriendi del cardinale Bellarmino del 1620 e di un trattato per costruire le meridiane del 1715: L’ombre illustrate, ovvero trattato di orologi a sole stracolmo di tavole di logaritmi ma anche di disegni come questo che riproduce le ombre proiettate dallo gnomone nel corso del dì a diverse latitudini ed esposizioni.
Fra i libri di metà settecento si è trovato addirittura un trattato di trigonometria sferica. Come si deduce dagli ex libris, la gran parte del fondo antico pervenne a Minà dal fratello del padre, il sacerdote don Emanuele Minà e dal sacerdote Giuseppe Palumbo, forse parente per linea materna, ma anche da tale don Nicolò Guzzio.
Fra i libri del corpo antico si trova il noto manoscritto Dialecticae insitutiones (Logicae elementa) del sacerdote di Castelbuono don Pietro Prisinzano Cardiddru del 1767 che reca diverse illustrazioni e anche un Arbor porphyriana.
Di notevole interesse sono anche due frammenti di erbari non castelbuonesi, ma assai preziosi: il primo Historia plantarum naturalium viridarium del 1758 reca annotazioni in francese; l’altro, Opusculum de simplicibus del 1660, quindi di epoca pre linneana, è offerto dall’anonimo autore all’arcivescovo di Palermo Pietro Martinez con questa bella illustrazione di apertura.
Infine, ricchissimi di informazioni, sono i libri delle rendite della chiesa ed ospedale di sant’Antonino dal 1738 fino alla fine del 700.
Il fondo ottocentesco, al momento, consta di 1904 titoli fra volumi e articoli. A parte le grandi opere della zoologia, della botanica, dell’entomologia, delle scienze naturali del XIX sec., spiccano tre libri che danno la cifra della statura intellettuale di Minà Palumbo: Il contratto sociale di Rousseau, l’Anzianità dell’uomo di Lyell, il padre della geologia, e l’ed. francese de L’origine delle specie di Darwin del 1862.
Tutti i libri del fondo ottocentesco sono stati organizzati per materie (zoologia, entomologia, botanica, allevamento, agricoltura e patologie relative, storia naturale, ampelografia, scienze naturali, lavori di Minà, meteorologia, medicina, letteratura ed arte) e a breve sarà possibile effettuare la ricerca dei titoli presenti attraverso lo schedario elettronico del museo. Successivamente, collegandosi al sito del museo, si potrà effettuare analoga ricerca e così pure attraverso l’OPAC, il catalogo in rete ad accesso pubblico. L’obiettivo è offrire la possibilità agli studiosi, agli appassionati e a quanti sono interessati alla figura e all’opera di Minà della consultazione on line dei suoi lavori. Ma bisogna pensare anche alla fruizione da parte della numerosa utenza dei materiali e delle carte.
I lavori, i reperti, il carteggio e quanto attiene all’opera di Minà, infatti, non può essere più tenuto sotto chiave, come è avvenuto fino al 2012, ma messo a disposizione di quanti sono interessati alla loro consultazione, come avviene nel resto del mondo. Innanzitutto perché ciò è in linea con le vedute di Minà in ordine alla circolazione delle conoscenze non solo scientifiche (cosa che fece della sua casa la meta dei naturalisti di mezza Europa) ma soprattutto perché incarna lo spirito del generoso gesto che portò gli eredi di Minà a donare al Comune di Castelbuono, quindi ai castelbuonesi, tutto ciò che si trovava nel gabinetto scientifico del loro illustre antenato.